Avv. Antonio Zecca |
Studio Legale |
Cass. Pen. – Sezione prima – Sent. 9 luglio -
26 agosto 2003, n. 34967
Osserva
Con sentenza in data 11 ottobre 2002 la Corte di appello di Milano confermava quella in data 28 novembre 2001 del Tribunale della stessa sede, con la quale C.F., imputato del reato di cui agli articoli 81 e 660 Cp (reiterate molestie telefoniche a diverse persone di sesso femminile), era stato condannato alla pena di mesi sei di arresto.
La corte territoriale ‑ dopo avere respinto l’eccezione di nullità del giudizio di primo grado per l’illegittima dichiarazione di contumacia dell’imputato affermava che la colpevolezza dell’imputato era provata dall’identificazione delle utenze telefoniche mobili, dalle quali erano state effettuate le telefonate (oltre cento) alle tre parti offese C R, F R e B A, come appartenenti al C.F., dalle specifiche dichiarazioni testimoniali rese dalle sunnominate persone, dalla similarità del contenuto delle telefonate e dalla non credibilità della tesi difensiva prospettata dall’ imputato smarrimento del telefono cellulare ‑ in quanto tale evenienza non era stata denunciata né agli organi di polizia né al gestore dell’utenza telefonica.
Rilevava, inoltre, che la prova del protrarsi delle telefonate sino al 28 luglio 2000 era stata fornita dalla testimonianza della B; che il comportamento del C.F. era stato volontario, di guisa che nella specie, reato contravvenzionale, sussisteva il richiesto elemento soggettivo quanto, meno sotto il profilo della colpa; che il diniego delle circostanze attenuanti generiche era determinato dalla negativa personalità dell’imputato derivante dal fatto che nel processo era rimasto contumace; che l’entità della pena, rimasta identica a quella irrogata in primo grado pur se modificata nella sua composizione in sede di appello, risultava congrua in riferimento alle reiterate modalità delle condotte dell’imputato; che il ragguardevole numero delle telefonate subite da ciascuna delle parti offese giustificava l’entità del risarcimento del danno liquidate in loro favore.
Subordinava, infine, l’applicazione al C.F. del beneficio di cui all’articolo 163 Cp al pagamento delle somme ‑ lire dieci milioni per ciascuna parte civile ‑ liquidate a titolo di risarcimento del danno.
2. Ricorre per cassazione il C.F., il quale, per il tramite del proprio difensore, deduce:
a) violazione di legge e vizio di motivazione (articolo 606 comma 1 lettera c) ed e) Cpp in relazione agli articoli 178 lettera e) e 486 stesso codice), asserendo che illegittimamente e con motivazione manifestamente illogica il giudice di primo grado non aveva rinviato il dibattimento in presenza di una documentata causa di impedimento assoluto (certificazione medica attestante che il C.F. era reduce da un incidente stradale comportante tre giorni di riposo decorrenti dal 3 ottobre 2001) dell’imputato a partecipare all’udienza del 4 ottobre 2001;
b) erronea applicazione di legge e vizio di
motivazione (articolo 606 comma 1 lettera b) ed e) Cpp in relazione all’articolo
660 Cp), in quanto era stata affermata la responsabilità dell’imputato,
nonostante nessuna delle tre persone offese ne avesse identificato la voce come
quella dell’autore delle telefonate moleste, con motivazione palesemente
illogica su tale punto;
c) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (articolo 606 comma 1
lettera b) ed e) Cpp in relazione agli articoli 62bis e 133 Cp), laddove il
diniego delle circostanze attenuanti generiche era stato motivato con la
negativa personalità dell’imputato derivante dalla sua scelta di rimanere
contumace con conseguente irrogazione di una pena di entità elevata;
d) erronea applicazione di legge e vizio di motivazione (articolo 606 comma 1
lettera b) ed e) Cpp in relazione all’articolo 185 Cp), osservando che la
sentenza impugnata non aveva motivato sia mi merito alla sussistenza di un danno
risarcibile a favore delle parti civili, che in ordine all’obbligo risarcitorio
a carico dell’imputato, cui era stato applicato il beneficio di cui all’articolo
163 Cp condizionato all’integrale risarcimento del danno in questione. Nelle
more dell’odierna udienza il difensore del C.F. depositava copia degli assegni
circolari ‑dell’importo di cinquemila euro ciascuno ‑ inviati dall’imputato alle
parti civili e delle relative liberatorie sottoscritte dalla B e dalla F.
3. Preliminarmente va osservato che la
documentazione depositata dal difensore del ricorrente, a prescindere dal rilevo
che la sua valenza può e deve essere valutata soltanto in sede esecutiva
incidendo sull’applicabilità condizionata del beneficio di cui all’articolo 163
Cp, non può essere presa in considerazione da questa Corte, trattandosi di atti
presentati per la prima volta in questa sede e non esaminati dal giudice del
merito. Passando all’esame del ricorso, lo stesso è fondato nei limiti che si
diranno. Riguardo alla prima doglianza la Corte rileva che il certificato
medico, asseritamene comprovante l’impedimento assoluto dell’imputato a
presenziare all’udienza del 4 ottobre 2001, è stato correttamente valutato dal
giudice del merito (la certificazione non indicava il tipo di infermità dalla
quale era affetto l’imputato, sicché il tribunale aveva affermato di non essere
stato posto nelle condizioni di potere accertare se la patologia fosse di tale
natura da impedire in modo assoluto la sua presenza in dibattimento) in maniera
negativa con argomentazioni logicamente corrette, di guisa che ogni censura sul
punto risulta infondata. Invero, a norma dell’articolo 420ter comma 2 Cpp, il
giudice ha l’obbligo di rinviare ad una nuova udienza la trattazione del
processo soltanto nella ipotesi che l’assenza dell’imputato sia dovuta alla sua
assoluta impossibilità di comparire davanti al giudice designato.
Peraltro la prova del legittimo impedimento deve essere sempre fornita dalla
parte interessata mediante specifica e completa documentazione, sì da consentire
al giudice il controllo sulla fondatezza dell’addotto impedimento.
Ne discende che, in presenza di una documentazione del tutto generica in ordine
all’assolutezza dell’impedimento, legittimamente il giudice procede alla
dichiarazione di contumacia dell’imputato.
Il secondo motivo di gravame risulta inammissibile dal momento che le censure si risolvono in critiche in fatto, atteso che sulle circostanze elencate dal ricorrente la corte territoriale ha ‑ con argomentazioni che, per essere esenti da vizi logico-giuridici o da errori di diritto, non sono sottoponibili al controllo della Corte di cassazione ‑ congruamente motivato, di guisa che sostanzialmente si richiede, inammissibilmente in questa sede di legittimità, un giudizio sul fatto, che, come tale, non è previsto dalla legge (articolo 606 ultimo comma Cpp) come motivo per ricorrere per cassazione.
Ad eguali conclusioni deve pervenirsi in
relazione al quarto motivo di ricorso, atteso che i giudici del merito hanno
congruamente motivato sia in ordine alla esistenza di un danno morale cagionato
dalle reiterate condotte moleste dell’imputato, che in relazione alla
determinazione dell’entità monetaria di tale danno, avendo fatto riferimento
alle ripercussioni sulla serenità interiore di ciascuna delle parte offese
cagionate dalle reiterazione, per un rilevante lasso temporale, delle
innumerevoli telefonate moleste da esse ricevute.
Per contro deve essere accolta la doglianza riguardante il diniego
dell’applicabilità delle invocate circostanze attenuanti generiche.
Invero, pur rientrando il corretto comportamento processuale dell’imputato tra i
parametri cui il giudice può fare riferimento al fine dell’applicabilità della
circostanza attenuante di cui all’articolo 62bis Cp, è stato ripetutamente
affermato (tra le tante, Cassazione, 1 luglio 1998, Emanuele, Cassazione penale,
2839/99) che lo stato di contumace costituisce una situazione processuale, che
incide unicamente sulla forma del procedimento, senza assumere alcuna intrinseca
significazione utilizzabile come metro valutativo della personalità
dell’imputato, in quanto la scelta di non presenziare al processo fa parte del
diritto di difesa, di guisa che, corrispondendo tale comportamento all’esercizio
di una facoltà legittima riconosciuta al medesimo, dall’uso della medesima non
se ne possono fare derivare effetti sostanziali negativi in tema di
applicabilità delle circostanze attenuanti generiche sub specie di indice
sintomatico di una personalità negativa.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata, limitatamente alla
statuizione riguardante il diniego delle circostanze attenuanti generiche, con
conseguente rinvio degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Milano,
che effettuerà un nuovo giudizio sul punto, attenendosi al principio di diritto
sopra enunciato.
PQM
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle circostanze
attenuanti generiche e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione
della Corte di appello di Milano.
Rigetta nel resto il ricorso.