Studio Legale |
Avv. Antonio Zecca |
corruzione art.319 C.p.
Cass. Pen. Sez. 6 Sent. n.10373 del 12/03/2002 In tema di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, la fattispecie di cui all'art. 319 bis C.p., introdotta dall'art. 8 legge 26 aprile 1990 n. 86, e' meno favorevole di quella originariamente prevista dall'art. 319, cpv. C.p., in quanto l'aumento di pena e' legato non più al verificarsi del risultato, bensì al fine per il quale l'atto corruttivo è compiuto.
Cass.
Pen. Sez.
6^ Sent.
n.1905 del 17/01/2002 (CC.14/11/2001)
La c.d. “corruzione propria” prevista dall'art.319 C. p. non è ravvisabile in relazione al compimento di atti nei quali non esiste alcuno spazio di discrezionalità suscettibile di essere usato per favorire il corruttore, in quanto gli atti compiuti dal pubblico ufficiale in cambio di una illecita retribuzione mantengono la loro natura di atti conformi ai doveri di ufficio, né tale natura viene meno in dipendenza del numero degli atti per i quali è stata accettata la retribuzione poiché il commercio di una pluralità di pratiche amministrative, per numerose che esse siano, non comporta il complessivo asservimento delle funzioni pubbliche agli interessi privati e non trasforma i singoli atti compiuti in atti contrari ai doveri d'ufficio (in applicazione di tale principio la Corte ha ravvisato il reato di 'corruzione impropria, di cui all'art. 318 c. p., nella condotta consistente nell'abituale accettazione di compensi da parte di impiegati di una Conservatoria Immobiliare per il rilascio in tempi più celeri di certificati catastali attestanti il vero).
Cass. pen., Sez.VI, 14/11/2001, n.1905 La c.d. "corruzione propria" prevista dall'art. 319 c.p. non è ravvisabile in relazione al compimento di atti nei quali non esiste alcuno spazio di discrezionalità suscettibile di essere usato per favorire il corruttore, in quanto gli atti compiuti dal pubblico ufficiale in cambio di una illecita retribuzione mantengono la loro natura di atti conformi ai doveri di ufficio, nè tale natura viene meno in dipendenza del numero degli atti per i quali è stata accettata la retribuzione poichè il commercio di una pluralità di pratiche amministrative, per numerose che esse siano, non comporta il complessivo asservimento delle funzioni pubbliche agli interessi privati e non trasforma i singoli atti compiuti in atti contrari ai doveri d'ufficio (in applicazione di tale principio la Corte ha ravvisato il reato di "corruzione impropria", di cui all'art. 318 c.p., nella condotta consistente nell'abituale accettazione di compensi da parte di impiegati di una Conservatoria immobiliare per il rilascio in tempi più celeri di certificati catastali attestanti il vero).
Cass. pen., Sez.VI, 19/10/2001, n.1170 Il criterio per distinguere la concussione dalla corruzione propria è quello del rapporto tra le volontà dei soggetti. In particolare nella corruzione esso è paritario e implica la libera convergenza delle medesime verso un comune obbiettivo illecito ai danni della p.a.; mentre nella concussione il pubblico agente esprime una volontà costrittiva o induttiva che condiziona il libero esplicarsi di quella del privato, il quale, per evitare maggiori pregiudizi, deve sottostare alle ingiuste pretese del primo. Elemento necessariamente comune alle due figure è l'esistenza di una indebita erogazione del privato al pubblico agente. Elemento eventualmente comune (e necessario solo nella corruzione propria) è un esercizio antigiuridico dei propri compiti da parte del pubblico agente. Elemento, infine, discriminante tra le due figure è la presenza, nella concussione (e l'assenza, nella corruzione), di una volontà prevaricatrice e condizionante da parte del pubblico agente. Ne consegue che, in presenza dei primi due elementi - il mancato accertamento del terzo conduce necessariamente, ad escludere che il fatto oggetto di valutazione possa essere considerato come concussione.
Cass. pen., Sez.VI, 09/05/2001 L'art. 322 ter c.p. (introdotto dall'art. 3 l. 29 settembre 2000 n. 300) dispone, in deroga parziale alla previsione dell'art. 240 c.p., che in caso di condanna per i reati di cui agli art. 314-320 c.p., si debba procedere in ogni caso alla confisca dei beni percepiti dal pubblico ufficiale indipendentemente dal fatto che costituiscano il prezzo del reato o solamente un profitto indiretto di esso. In caso di condanna per i reati di cui agli art. 314-320 c.p., la confisca obbligatoria introdotta dal nuovo art. 322 ter c.p. si applica anche nell'ipotesi di condanna per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della stessa l. n. 300 del 2000.
Cass. Pen. Sezione 6^ Sentenza n.3529 - 01/02/1999 (CC.12/11/1998) La distinzione tra le fattispecie di cui agli artt.318 e 319 cod. pen. risiede nel fatto che, nel primo caso, attraverso l'accordo corruttivo si realizza una violazione del principio di correttezza e del dovere di imparzialità del pubblico ufficiale, senza che però la parzialità si trasferisca sull'atto, mentre nel secondo caso la parzialità si rivela nell'atto segnandolo di connotazioni privatistiche, perché formato nell'interesse (esclusivo o prevalente) del privato corruttore e rendendolo pertanto illecito e contrario ai doveri d'ufficio. Ed invero ciò che caratterizza la c.d. "corruzione propria" è l'asservimento della funzione per denaro agli interessi dei privati; ne consegue che la corrispondenza dell'atto ai requisiti di legge non esclude il predetto asservimento, con l'avvertenza che la violazione del dovere di imparzialità deve essere intesa come "inottemperanza non generica ma specifica", inerente al contenuto e alle modalità dell'atto da compiere; circostanza che ricorre in ogni modo quando, per l'indebita retribuzione, il pubblico ufficiale scelga tra una pluralità di determinazioni volitive quella che assicura il maggior beneficio al privato al solo fine di favorirlo, divenendo l'interesse privato il motivo dell'atto oltreché del comportamento.
Cass. Pen. Sezione 6^ Sentenza n.3945 del 25/03/1999
In
tema di reato di corruzione propria, occorre aver riguardo non ai
singoli atti, ma all'insieme
del servizio reso dal p.u. al privato; per cui, anche
se ogni atto
separatamente considerato corrisponde ai requisiti di legge,
l'asservimento costante alla funzione, per danaro, agli
interessi del privato concreta
il reato di corruzione previsto dall'art. 319 c. p. Ne consegue
che l'atto
contrario ai
doveri d'ufficio non va inteso in senso formale,
dovendo la
locuzione ricomprendere qualsivoglia comportamento del pubblico
ufficiale che sia in contrasto con norme giuridiche, con
istruzioni di servizio e
che comunque violi quegli specifici doveri di fedeltà, imparzialità
ed onestà
che debbono essere
osservati da chiunque eserciti una pubblica
funzione; con la
conseguenza che la mancata individuazione in concreto
del singolo
"atto" che
non avrebbe dovuto essere omesso o ritardato ovvero
avrebbe dovuto
essere compiuto
dal pubblico ufficiale non fa venir meno
il reato
previsto dall'art. 319 c. p., ove venga accertato che la
consegna del
danaro al
pubblico ufficiale sia stata effettuata in ragione delle
funzioni dallo stesso esercitate e dei conseguenti favori
oggetto della pattuizione.
(In motivazione, la S.C. ha osservato che, quantunque
l'illegittimità dell'atto possa
costituire un indice rivelatore della contrarietà
dell'atto stesso
ai doveri di
ufficio, ai fini della realizzazione della
fattispecie penale assumono rilievo tutti i doveri di ufficio
che possono venire
in considerazione
e tra questi quello dell'imparzialità, bene costituzionalmente protetto, inteso
non come
mera osservanza
del dovere "esterno", da
ritenersi eluso
ogni qual volta il pubblico ufficiale agisca anche
in funzione di una
privata utilità, ma come inosservanza di uno specifico dovere,
inerente al contenuto e alle modalità dell'atto da compiere). |